Crisi di immaginazione? "Every crisis is in part a storytelling crisis" (1a parte)
Cosa c'è dietro termini tecnici come "narrative change" e "framing" e come possiamo tornare a immaginare futuri desiderabili lavorando con e sulle narrazioni?
Come si comporterebbe una società più saggia*?
“Nuovi” parametri sono sul tavolo: pensiero sistemico, economia circolare, rigenerazione, equità sociale, decolonizzazione della conoscenza, rispetto dei tempi biologici e delle risorse naturali, ascolto, reciprocità.
Se le aziende, gli enti e le amministrazioni progettassero le proprie attività, servizi e politiche considerando come necessari e strategici questi aspetti, avremmo un proliferare di esperimenti che si muovono verso futuri desiderabili.
Ma non basta sapere cosa si potrebbe fare per provare a farlo.
Bisogna renderlo familiare, un’alternativa possibile.
A key insight from brain science is that our brains are predictive machines. Much of our behavior is subconscious and habitual, shaped by what we already know.
In a negative sense, this is why hearing a falsehood multiple times makes it feel true. But it also means we can introduce radical ideas about how the world could be and create change simply by making those ideas familiar.I think this insight has massive implications for social change: it means we need to shift our focus from what currently is, to showing what could be. From raising awareness to changing awareness. We need to tells stories that not only show that change is possible, but make that change feel familiar and real - so that we can feel it on a sensory level: taste, touch, hear and smell!
The science of communicating hope
Dove nascono le idee
Il termine “immaginazione” si confronta con il “reale”:
l'immaginazione è considerata come lo spazio mentale in cui interpretiamo e riflettiamo sul mondo…
ma indica anche il modo in cui diamo origine a nuove idee…
e ha un significato ambivalente, perché rimanda a una potenziale comprensione distorta del mondo, che va contro quanto convenzionalmente accettato.
E questa è solo la visione occidentale dell’immaginazione, guardando oltre possiamo aggiungere altre dimensioni :
immaginare, in una prospettiva temporale non lineare, significa anche ricordare, o ancora sospendere temporaneamente il presente per vivere uno spazio di sogno lucido e di possibilità, al di là delle restrizioni contingenti
un altro modo di immaginare è attraverso il corpo, nelle danze rituali e in pratiche di embodiment che permettono di accedere a una conoscenza già “scritta” da qualche parte in noi, ma poco accessibile.

Looking back through history, radical social imagination has always entailed some kind of shift in consciousness, and some progress to more ethical, richer, deeper and broader ways of thinking and feeling.
These shifts happen all the time. Often, they involve a change of perspective and scale—seeing our own lives in much wider contexts of history, geography and culture, part of a bigger ‘now’, and a bigger ‘here’.Geoff Mulgan, Another World is possible
Parliamo di immaginazione perché “il” futuro non esiste: siamo noi a costruirne uno giorno dopo giorno elaborando pensieri ed emozioni, che poi diventano azioni e abitudini. Ma cambiare il modo in cui pensiamo richiede un nuovo livello di consapevolezza… per non rischiare di dare le risposte sbagliate alle domande giuste.
Alla radice della costruzione - e ricostruzione- di prospettive personali e collettive, ci sono le narrazioni che scegliamo di ascoltare, percorrere e disegnare…. ne avevo già parlato qua:
Reminder: immaginazione, storie, narrazioni, comunicazione, messaggi
non sono intercambiabili, ma sono termini intimamente collegati in una specie di ciclo (virtuoso/vizioso a seconda).
Un messaggio comunica qualcosa che può essere facilmente trasformato in una storia e che sottende a una o più narrazioni, che spesso non percepiamo ma che di fatto si rinforzano, interagendo con i nostri modelli mentali e culturali.
The usefulness of taking a stance between the familiar and the strange
Ecco la teoria:
E un esempio non banale:
There’s yet another narrative that’s persisted at least since the invention of compact fluorescent lightbulbs and the Toyota Prius: that we must renounce abundance and enter an age of austerity.
It’s all in the telling. To consider our age an age of abundance, you have to be counting sheer accumulated stuff and ignoring how it is distributed. That is, we live in an age of extreme wealth for some, and desperation for the many. But there’s another way to count wealth and abundance – as hope for the future, safety and public confidence, emotional wellbeing, love and friendship and strong social networks, meaningful work and purposeful lives, equality and justice and inclusion.If you win the popular imagination, you change the game’: why we need new stories on climate, Rebecca Solnit su The Guardian
Per questo cambiare visione è tanto difficile: letteralmente “non vediamo il problema”.
Come creare nuove conversazioni che attivino immaginari, parole, storie in grado di incuriosire, attrarre, modificare la prospettiva con la quale si affrontano le quotidiane sfide e si guarda al futuro?
La scommessa è non solo creare e rafforzare idee, ma trovare il modo di diffonderle perché vengano col tempo percepite come potenziali, realistiche alternative all’attuale modus operandi.
Non è facile e le “ricette” possono essere anche molto diverse.
Come riaccendere l’immaginario collettivo?
Narrative work is about making something become “common sense” to people.
Si dice che l’immaginazione collettiva, il “social dreaming” viva una fase oscura: non sappiamo più immaginare, schiacciati dal presente e da forze che sembrano incontrastabili.
Se consideriamo che le narrazioni alternative possono:
emergere spontaneamente dalle esperienze delle persone
essere “coltivate”, ossia sviluppate deliberatamente e strategicamente da attivisti, designer o altri soggetti che si occupano di proporre visioni alternative e possibili
forse la crisi attuale risiede nella prima tipologia, e nelle società più sviluppate, dove le persone non si rendono conto di quanto le loro vite si siano appiattite su se stesse, scollegate dalla linea del tempo e dello spazio.
Ecco allora gli specialisti che cercano di venire in nostro aiuto, creando nuovi spazi per alimentare e risvegliare le nostre povere menti (e corpi) atrofizzati.
Most of the ideas and solutions already exist from a technological perspective. In our world-building spaces, people echo some fundamental solutions. We mainly need permission to believe these ideas are possible at the level of our collective will. Expressing our desires together, in an affirming and hope-oriented community, gives us the confidence to mention these ideas in other places, and to experiment with them in our work in all aspects of society
Murmurations: Black Imagination Can Build a Better World
Aggiornare e ampliare quel che riusciamo a immaginare (e vedere)
We are framing every time we communicate
Opzione 1: influenzare la comunicazione dominante e la cultura popolare
C’è chi pensa che per sfidare le cornici mentali più diffuse sia necessario agire sul mainstream, influenzando Hollywood, la TV e i grandi media tradizionali e i grandi movimenti sociali a artistici, un po’ come è successo con il movimento #MeToo
È il metodo americano, per noi difficile immaginare qualcosa di simile, ma forse dobbiamo imparare un po’ di “megalomania” da Oltremare.

The Pop Culture Collaborative focuses on culture change, specifically on popular culture, because it’s one of the most influential arenas shaping how people make meaning and forge identities: the big ideas and immersive stories that flow through television, movies, digital and social media, music, books, sports, journalism, political campaigns, and other artistic and cultural experiences that millions of people experience every day. This cultural context influences how people behave, their conclusions of who belongs (or doesn’t) in a society, their participation and decision-making in the democratic process, and the vision they hold about the future.
Opzione 2: lavorare sulla consapevolezza
Chi invece ritiene imprescindibile attivare un lavoro più lento e riflessivo, ma non necessariamente one2one.
A. Come non partire citando la Causal Layered Analysis (CLA) di Sohail Inayatullah?

La CLA è uno strumento per far emergere le narrative più profonde su cui poggiano le storie che ci raccontiamo ogni giorno, anche se può essere utilizzato in modi diversi. È composta da quattro livelli:
la litania rappresenta la narrazione dominante, ufficiale e spesso indiscussa, che viene ripetuta continuamente, data per scontata.
le cause sociali/sistemiche vanno a indagare in prospettiva sistemica le cause che sono sottese alla narrazione dominante: “The data is often questioned; however, the language of questioning does not contest the paradigm in which the issue is framed. It remains obedient to it”. Rimangono a questo livello la gran parte delle analisi dei problemi.
Per individuare invece la visione del mondo (worldview), ossia la struttura narrativa invariante e comune a diverse litanie, vengono ricercati gli assunti ideologici, linguistici, comunicativi più profondi e inconsci, e i modi in cui le diverse parti interessate costruiscono la litania e il sistema.
il mito/metafora è la traduzione di quanto riconosciuto nei tre livelli precedenti racchiuso in una frase/messaggio evocativo che contiene e riflette le dimensioni emotive inconsce del problema: un archetipo collettivo.
B. Il framework della teoria U di Otto Scharmer propone percorsi formativi individuali (e poi di team) e mira proprio alla ridefinizione dei parametri con cui parliamo e ascoltiamo, scegliamo e giudichiamo, e quindi agiamo. Personalmente, non posso che consigliare il loro percorso e la sperimentazione in prima persona dei tool che propongono, magari partendo dal libro tradotto in italiano.
Non sorprende che Otto e Sohail abbiano condiviso un’esperienza trasformativa anni fa.
C. Interessante, anche se più focalizzato, l’impegno di Common Cause Foundation sulla condivisione della mappa dei valori, utile non solo come strumento di valutazione, ma anche per progettare una comunicazione in grado di ingaggiare il proprio pubblico.
D. Last but not least, un altro approccio che ritengo illuminante è racchiuso nei concetti di privilegio e di rango, come posti da Arnold Mindell.
Ricordatevi del vostro passato… Richiamate alla mente ogmni fase della vostra vita e prendete coscienza dei vostri privilegi… Le persone consapevoli del loro rango sanno che il loro potere l’hanno ricevuto in gran parte in eredità. Non guardano con superiorità le persone con meno potere, meno cose o meno capacità.
A.Mindell, “Essere nel fuoco”
I tipi di rango sono legati per esempio al colore della pelle, alla capacità di spesa, al genere, alla religione, all’età, alle competenze e alla professione, alla salute e alla spiritualità, alla condizione familiare…
Ogni volta che possiamo contare su una posizione di “sicurezza”, inconsapevolmente ci sentiamo superiori a qualcun altro che non accede a quel privilegio e possiamo esercitare un potere che squilibra il rapporto.
Avere consapevolezza del proprio rango in un dato momento (essere bianchi, avere un tetto sicuro sulla testa e un ruolo nella propria famiglia, aver frequentato le scuole, avere un lavoro e una posizione professionale, essere sani…) aiuta a immaginare la posizione e le emozioni delle persone con un rango inferiore e - credo - non solo a capire meglio l’origine di certi comportamenti ma anche come gestirli in modi nuovi.
Il discorso si sta facendo troppo denso, spero di non aver perso il filo…mi fermo qua, ma prestissimo arriva il resto (bibliografia compresa, che non riesco a spezzare).
Ripartiremo dalle Narrazioni che prendono forma e sostanza, attraverso la realizzazione di scenari, artefatti e prototipi frutto di design speculativo e altro ancora, che qua non si finisce mai.
* e non necessariamente noiosa vogliamo sperare!