Sulla creatività, il design e gli obiettivi (personali, professionali, di specie)
I libri diventano magici quando: A. rispondono a domande che ti ti frullano in testa da secoli , B. descrivono un sentire o uno stato del tuo percorso di vita e C. aprono porte che ti lasciano vedere oltre.
Nella raccolta di saggi "La mente e l'architettura" Melissa Farling cita uno scritto di Buchanan che definisce il mio sentire (e la mia conseguente semi-crisi professionale). Lo riporto (anche) perché credo si tratti di un cambio di prospettiva essenziale per il tempo che stiamo vivendo:
E cosa sarebbe quindi la creatività? La creatività smette di interessarsi all’autoespressione, riguarda, invece, la comprensione (attraverso la ricerca, l’analisi, l’intuizione e così via) e, successivamente, la facilitazione dei processi più ampi dell’emergenza creativa che costituiscono i molti livelli dell’evoluzione. Oltre a trascendere l’autoespressione la creatività allora sfugge alle attuali frivole ossessioni per la forma e per la teoria.... per ampliare il mondo delle possibilità umane così che possiamo diventare soprattutto ciò che aspiriamo a essere nella nostra visione emergente di ciò che è pienamente umano.
P. Buchanan in “The Big Rethink: The Purposes of Architecture”, 2012
Credo che questo paragrafo definisca una direzione molto concreta, un salto di livello. In parte rimanda alle recenti trasformazioni del modo di concepire il design, il cui focus si sposta sempre più dal design delle "cose" (prodotti, macchine, abitazioni) al design dei servizi, dei processi e delle esperienze fino ad arrivare alla recentissima massima sul design thinking:
We must design for our better selves
Roberto Verganti, "Against Userism: A New Manifesto for Design" nel convegno "Design thinking for Business", Politecnico di Milano, 2022.
Ma cosa significa, cosa vogliamo che significhi "essere migliori"?
Buchanan suggerisce che poter vivere in accordo con i nostri valori più profondi sarebbe un passo un importante, e che l'attuale organizzazione delle nostre città non ce lo consente.
La bussola che ci propone Buchanan nel saggio a puntate "Big Rethink" è questo quadrante (All Quadrants All Levels della "Teoria Integrale"): il nostro distacco dall'ambiente che viviamo e la nostra incapacità di prendercene realmente cura deriva dall'aver "dimenticato" di progettare anche per le nostre dimensioni più soggettive: le nostre profondità psichiche e la nostra esigenza di creare un senso di appartenenza con la comunità e la natura.
Abbiamo deciso di stare al mondo come se fossimo in vacanza, senza davvero "stabilirci" o preoccuparci del contesto che ci ospita.
D'altro canto, ci è piaciuta (e ci piace ancora!) l'idea di essere cittadini del mondo (non siamo alberi, giusto?), liberi di muoverci e di sentirci ovunque a nostro agio... forse ci è sfuggito qualcosa, oppure va integrato qualcosa, perché non credo che la soluzione sia tornare a quando ci si spostava poco/pochissimo e la vita intera si concentrava solo nelle immediate vicinanze della propria casa, almeno per la maggior parte delle persone.
Facendo un confronto con gli animali si rileva che l'uomo non soltanto vive in una realtà più vasta, ma anche in una nuova dimensione della realtà... L'uomo non può più sottrarsi alle condizioni di esistenza che lui stesso si è creato... Non vive più in un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Il linguaggio, il mito, l'arte e la religione fanno parte di questo universo.
E. Cassirer in "Lo spirito della casa" di Silvano Petrosino.
Gli esseri umani sentono come "proprio mondo" tutto quanto riescono a gestire, appropriandosene concettualmente, non solo quanto hanno fisicamente a "portata di mano". E sentono il bisogno di esplorare.
Coltivare e custodire: sono i due termini che, secondo Silvano Petrosino, danno vita al concetto di "abitare". Io non posso fare a meno di aggiungere "esplorare".
Altre parole-bussola per progettare meglio case, quartieri, servizi...
Ma pensando in modo più ampio: in quali e quante dimensioni l'uomo contemporaneo vuole abitare? Che ruolo avranno i mondi virtuali?
Cosa vogliamo diventare? A cosa possiamo - e non possiamo - rinunciare?
Come possiamo conciliare la nostra evoluzione - personale e di specie - con la protezione del nostro Pianeta?