Socializzare nel socialismo (sovietico)
Mi ci è voluta una guerra per guardare con maggiore attenzione un documentario sulla vita in epoca sovietica e imbattermi per caso in un brevissimo affondo su case prefabbricate e micro-distretti.
Fa uno strano effetto trovare anticipati nell'Unione Sovietica degli anni 50-60 alcuni dei principali aspetti dell'attuale dibattito urbanistico :
abitazioni "diversamente spaziose" (minuscole), in modo che le persone non si rinchiudano tra le 4 mura di una casa (dopo l'esperienza della condivisione forzata nelle kommunalki) ma socializzino nelle aree comuni, come le cucine, e spazi aperti.
Città divise in micro-distretti (microrayon), all'interno dei quali gli abitanti potessero raggiungere a piedi in 15 minuti (giuro che nel datato documentario era specificato) i principali servizi comuni, in particolare scuole, negozi e parchi; le arterie di circolazione per le auto erano lasciate all'esterno.
L'aspetto forse più noto, e in ogni caso altrettanto interessante, dei moduli prefabbricati che consentivano di assemblare palazzi di 5 piani in due settimane: sono le prime chruščëvki. Nelle foto e nei video si vede la posa di moduli di appartamenti che assomigliano molto a container, niente che possa sembrare confortevole e duraturo (d'altra parte non erano state pensate per durare), ma l'aspetto di ricerca sulla standardizzazione della produzione e della posa rimane interessante, nonostante Gropius abbia già dato in merito.
E ancora, leggo che negli anni '90 nei quartieri residenziali sovietici sono state effettuate trasformazioni "informali" (abusive) negli spazi dei piani terra e in corrispondenza delle entrate secondarie agli edifici, dove si insediarono piccole attività commerciali e di servizio per gli abitanti... come non pensare al quartiere satellite di Pioltello?
Tentativo estremo da parte dei cittadini di reimpossessarsi delle strade, dei cortili e delle loro stesse case, investendoli di significati nuovi.
Aleksandra A. Uzunova in "L’articolazione dello spazio pubblico nella città post-socialista"
Più si cresce, più ci si rende conto che le idee sono difficilmente originali: vengono ciclicamente riprese e rimaneggiate e solo di rado fanno quel salto di livello che le rende innovative. Spesso è il contesto che cambia, cambiandole.
Bisogna solo fare attenzione a non incorrere in errori simili.
In epoca sovietica anche lo spazio "privato" in realtà non poteva appartenere all'individuo: gli appartamenti erano rigorosamente in affitto e le possibilità di personalizzare gli interni talmente ridotte che chiunque viveva nella stessa casa, praticamente. Occorreva aderire a un'identità pre-fabbricata quanto l'edilizia a pannelli, dove sfera pubblica e privata erano incredibilmente sfumate una nell'altra.
Gli spazi pubblici delle città erano molto ampi in termini spaziali, ma "disponibile" non significa "accessibile": per appropriarsi degli spazi, i cittadini devono poter esercitare un certo controllo su di essi. Eccoci arrivati alla progettazione partecipata.
Per approfondire:
"Le chruščëvki sono un incubo terribile. Vanno demolite. Oppure no?"
L’articolazione dello spazio pubblico nella città post-socialista
"Com'erano progettate le città sovietiche?" (video)
"Ironia della sorte o buona sauna", 1976, (film cult, presentato qua).