Programmare il futuro non si può: get the beat and prepare to dance with it
Seguo Indy Johar da un po' e penso sia una delle persone più interessanti da ascoltare, in prima linea non solo nel presentare, ma anche nel tentare di affrontare il cambiamento in tante sue sfaccettature, con una visione ampia e precisa al tempo stesso.
Non sempre mi è facile seguire le sue presentazioni... oltre a un problema di vista - utilizza sempre font minuscoli :) - a volte le trovo un po' "oscure".
Questo intervento invece mi è piaciuto moltissimo, invito davvero tutti a seguirlo dall’inizio alla fine.
Non ci sono risposte e soluzioni, ci sono dati di fatto e proposte di approccio.
Indy consiglia di non accanirsi a programmare il futuro, semplicemente perché è inutile: vivremo troppe crisi e cambiamenti repentini. Consiglia invece di prepararsi e di reagire alle crisi “danzando con il futuro” ed evolvendo assieme ad esso, parafrasando Donella Meadows.
"Mi contraddico? Certo che mi contraddico! Sono vasto, contengo moltitudini" scriveva Walt Whitman.
Oggi la scienza ci sta dimostrando che più che individui, ognuno di noi è un ecosistema in continuo divenire. I confini definiti tra persone, nazioni, discipline, competenze sono una costruzione, una
visione del mondo ormai obsoleta basata sulla separazione. Ora è venuto il
momento di una nuova wordview, basata sulla relazione, intesa come convivenza, sovrapposizione, intreccio, mixité.
La libertà di scelta di alcune persone è un lusso consumistico che costa troppo a tante altre e distrugge il Pianeta esaurendone le risorse, senza mettere nessuno al riparo dall’ansia per il futuro e dagli effetti che isolarsi provoca.
L’alternativa che Indy propone è riconoscere le proprie responsabilità e attivare il nostro senso del dovere, portandoci a scegliere la giustizia e a metterci in gioco nel co-sviluppo di una vera e propria trasformazione del
nostro modo di vivere, produrre, costruire, concepire il valore…
La transizione è una bufala: ci mancano materie prime e processi per produrre energia senza consumarne ancora di più. Abbiamo trasformato la Terra in una mega-fattoria.
La maggior parte degli investimenti pubblici finisce per portare alla crescita di valore finanziario di beni privati, alimentando una distribuzione iniqua della ricchezza. Occorre una rivoluzione delle narrative dominanti, investire in Common critical infastructures, credere che se non tutti possono capire, tutti possono “sentire” che è ora di cambiare rotta.
Per approfondire: