Il coraggio di vedersi fragili
C’è questa parola, fragilità, che spesso ne sottende un’altra: emozioni.
Credo che il nostro rapporto, come individui prima di tutto, con la fragilità sia un nodo dei nostri tempi, e lavorarci su possa aiutarci a progredire collettivamente.
In queste settimane non ho fatto granché a causa di un “espianto” (meglio donazione, vero?) di midollo osseo che mi ha messo un po’ inaspettatamente K.O. partendo da una condizione di salute. Sarà la costituzione, sarà l’età, saranno i quantitativi di midollo necessari al ricevente o il fatto che i medici omettono tante cose... fatto sta che doversi fermare del tutto, mettere in pausa tutta la propria vita e dover attendere settimane, non senza una certa preoccupazione, che i miei valori tornino alla normalità per il bene di un’altra persona è un avvenimento che sto cercando di comprendere, e questo è già un fatto: alcuni di noi sarebbero pronti ad affrontare questo e altro, lo so, ma non tutti e non saprei dire quanti.
Cosa ci dice questo di noi, come società?
Siamo egoisti, siamo pavidi? Cosa temiamo? Di non essere “operativi”, “performanti”, di essere limitati nei movimenti, nelle azioni; di dover rallentare, di non andare alla stessa velocità delle persone a cui ci paragoniamo, di perderci qualcosa… opportunità, divertimento, affari, vita.
Dicevo, nel mese di novembre non ho fatto quasi niente, ma ho partecipato a due eventi: la giornata dedicata ai serious games (nel palinsesto della Beautiful Work Week) e la presentazione del nuovo libro di Otto Scharmer sulla Teoria U.
Entrambe sono state occasioni per fare esperienza di pratiche che ci aiutano ad entrare in connessione con noi stessi e con gli altri in modalità meno “automatiche” e più riflessive e profonde, anche recuperando il proprio istinto. Non servono grandi ragionamenti, ma l’ascolto di se stessi in modo più sottile, provando a creare sentieri nuovi piuttosto che ripercorrere i soliti “percorsi mentali” che ci conducono sempre alle stesse conclusioni note.
“É che la vostra generazione è fragile...”: mi sono sentita dire da una generazione prima della mia: io ho 54 anni, non 30, non 15.
“Fragile un corno” ho risposto di botto (no, non ho usato “un corno”), “è che noi i problemi non ce li nascondiamo per poi passarli ai nostri figli”.
Prendersi carico dei dolori che ci hanno condizionato non è essere fragili; farcisi bloccare può esserlo, ma la fragilità non è una parolaccia, è un percorso, un passaggio, non uno stato perenne.
Prendersi cura delle proprie fragilità significa essere pronti a prendersi cura delle fragilità degli altri, riuscire a vederle e forse a comprenderle; non solo quelle umane, ma anche le fragilità dei nostri ambienti naturali, dei nostri paesaggi, in un mondo interdipendente dove lo stato di salute del mondo si ripercuote in noi, anche indirettamente, anche se pensiamo di essere al sicuro, al riparo.
E le fragilità hanno spesso a che fare con emozioni inespresse, con afflizioni non digerite: ho imparato solo di recente quanto sia importante riconoscere le mie emozioni ed essenziale dare loro voce, sapendo di averne ogni diritto. Davanti a un genitore, a un medico, a un figlio, a una persona inopportuna, a un’amica distratta.
Dare voce alle proprie emozioni non significa offendere, attaccare o punire: è qualcosa che dobbiamo a noi stessi, non agli altri, per trasformarci in persone migliori, lasciandoci i lacci che ci trattengono alle spalle.
Otto Scharmer sabato scorso ha affermato che il successo del leader dipende dalla sua “interior condition”: la fonte da cui le sue intenzioni si originano.
Ciò che dovremmo perseguire, ognuno a modo nostro, è un “awareness-based system change” e non è possibile cambiare un sistema se si non cambia individualmente il livello di consapevolezza da cui si opera.
Non ero nel miglior stato mentale possibile quando ho partecipato alla Serious Games Fest, ma ero felice di poter essere lì è ciò che mi è rimasto più impresso sono le tante persone che tentano di migliorarsi, di evolvere per offrire un servizio ancora più efficace ai loro clienti. Sono, siamo spesso professionisti che faticano nella loro vita lavorativa e che rischiano di tasca propria, persone che non sempre vedono riconosciuti i propri sforzi ma che credono a un mondo che ragioni su basi diverse, pur facendo business.
In un bel post, l’economista Gary Pisano esorta le aziende ad aprirsi seriamente alla varietà e alla “diversità cognitiva”, non come valori astratti ma come condizioni operative per l’innovazione, in un’alternarsi di ricerca e sintesi, grazie soprattutto a “conversazioni difficili” che sovvertono l’ordine stabilito, il vecchio.
Niente di rivoluzionario: sono sempre le due fasi del divergere e convergere del design thinking. Ma è “nuovo” il destinatario di questa proposta, le grandi aziende, e la scala dell’applicazione suggerita: non il modo di affrontare un singolo problema, ma l’innovazione strategica aziendale.
Ciò che m interessa è quanto questi pensieri stiano diffondendosi da più parti, cercando di prendersi uno spazio più ampio e di alimentare lentamente il suolo divenuto arido del business as usual.
Otto ha parlato degli innovatori come di persone che non traggono la loro ispirazione dal passato, ma dal futuro emergente che riescono a intercettare: non è un po’ la stessa cosa?
Perchè cambiare il nostro modo di agire?
Perchè collettivamente produciamo risultati che nessuno vuole.
L’acuirsi del divario ecologico: destabilizzazione climatica e perdita di biodiversità.
L’acuirsi del divario sociale: disuguaglianze estreme, guerre, polarizzazioni.
L’acuirsi del divario spirituale: disperazione, ansia e depressione.
Accettiamo di guardarci dentro con coraggio. Accettiamo di ascoltare. Impariamo a prenderci cura di noi, lasciando scivolare un po’ di inutile. Fermiamoci a osservare e impariamo di nuovo, dalla posizione di privilegio di persone “sane”, cosa è davvero importante per una vita ricca di senso.
Dopo aver fatto un bel tour del nostro passato personale, familiare, “tribale” arriva l’ora di lasciare andare la liana a cui siamo aggrappati da tempo e permetterci di afferrare quella che ci viene incontro dal futuro: per cosa vogliamo lottare, cosa vogliamo contribuire a creare? cosa sentiamo esistere già in potenza, ma che ha bisogno di noi per palesarsi?
Quelle signore, compagne di stanza in quel reparto di malattie terminali dove mi sono trovata per caso o per sbaglio, sapevano di non avere un futuro, eppure la vita le abitava, donne fragilissime e coraggiose che - saltando su un precipizio - tengono insieme famiglie dal loro letto di ospedale.
É molto chiaro, là dentro, cosa è superfluo e cosa cura, anche se la differenza spesso non è così banale da cogliere; è abbastanza chiaro per me qua fuori, cosa è superfluo e cosa è cura. E per voi?
“Perchè abbiamo tanta paura di cadere se nelle epoche precedenti non abbiamo fatto altro?
Siamo già caduti a diversi livelli e in diversi luoghi del mondo. Ma abbiamo molta paura di quello che succederà quando cadremo... ci sentiamo insicuri, proviamo ansia verso la caduta perché le altre possibilità che si aprono richiedono l’implosione di questa casa che abbiamo ereditato, che portiamo avanti in grande stile, ma in realtà passiamo tutto il tempo ad avere paura.
Forse allora bisognerebbe trovare un paracadute: non eliminare la caduta, ma inventare e costruire migliaia di paracadute colorati, divertenti, persino piacevoli. Perché quello che ci piace davvero è divertirci e vivere con piacere qui, sulla Terra”.
Ailton Krenak, Idee per rimandare la fine del mondo
Per approfondire:
Otto Scharmer: 2023 In Eight Points: Meditating On Our Planetary Moment (come vedete non andiamo poi così di corsa… ci si può permettere di rallentare anche se sembra paradossale con così tante urgenze ed emergenze).
Otto Scharmer e Katrin Kaufer: Presencing, 7 pratiche per trasformare sé stessi, la società e l’impresa (libro)
Gary Pisano, Creative Construction: The DNA of Sustained Innovation (libro)
Francis Weller, Rough Initiations (questa è una specie di bonus track, forse per il prossimo post).
Ailton Krenak, Idee per rimandare la fine del mondo (libro)






