Biofilia (l'originale*)
Ho cercato il libro del biologo e naturalista Edward Osborne Wilson senza grandi aspettative, per farmi un'idea di prima mano della genesi culturale di un termine molto utilizzato negli ultimi mesi e spesso ridotto al piacere che dà all'uomo il contatto con piante, alberi e affini.
La definizione di biofilia nell'omonimo saggio, pubblicato per la prima volta nel 1984, sta nella prima pagina del prologo ed è definita come "la tendenza innata (degli esseri umani) a concentrare il proprio interesse sulla vita e sui processi vitali". Wikipedia mi avvisa che Wilson nel 2002 ha specificato meglio la definizione, ma al di là di questo il volume è una miniera di spunti attuali e ben più ampi, che cercano di darci strumenti se non per rispondere, almeno per capire questa essenziale domanda:
E' possibile che l'umanità in futuro ami la vita abbastanza per salvarla?
Esplorare il vivente, comune obiettivo di scienza e arte
Noi esseri umani non conosciamo i limiti del mondo vivente, ma da sempre siamo attratti dal mistero e quanto più scopriamo, tanto più vogliamo scoprire.
Siamo preda di una tranquilla passione che mira a darci non già la padronanza assoluta, ma la sensazione di un progresso costante
"Poi il mondo cominciò a cedere": l'evoluzione dell'uomo (o meglio del suo cervello) lo ha spinto a perdere l'equilibrio tra controllo sulla natura e necessità di mistero o "ricognizione nella terra dai nomi magici".
A partire da questa scissione, cultura scientifica e sensibilità artistica hanno assunto spesso posizioni opposte e inconciliabili:
La filosofia toserà le ali all'Angelo.
Conquisterà tutti i misteri con riga e compasso.
Svuoterà l'aria stregata e le miniere degli gnomi.
Distruggerà il tessuto dell'arcobalenoJ. Keats in Lamia
Wilson si oppone con energia a questa visione:
Il ruolo della scienza, come quello dell'arte, consiste nel fondere immagini precise con significati più remoti, elementi che già comprendiamo con elementi che ci appaiono come nuovi, in modo da formare schemi più ampi, abbastanza coerenti per essere accettati come verità"
L'idea di Wilson è che le scoperte non finiscono mai nel mondo del vivente, così come il senso di avventura e meraviglia dell'uomo. Gli scienziati, dice, conoscono per scoprire, sono esploratori e cacciatori, mentre gli artisti sono saggi che interpretano il sapere e trasmettono rituali, folclore e miti.
Entrambe scienza e arte utilizzano analogia e metafore, che come eleganza e bellezza sono espedienti della mente umana per ampliare le sue limitate capacità di memoria e di calcolo veloce.
La scienza consiste per buona parte nel creare la massima quantità possibile di informazioni con la spesa minima di energia. La bellezza sta nella linearità e nell'ordine di tali formulazioni, e anche nella simmetria, nella sorpresa e nella congruenza con altre credenze prevalenti. La scienza è importante quando offre delle analogie che indicano la via di accesso a un terreno inesplorato.
E' nel momento in cui scocca la scintilla, allorché l'intuizione e la metafora hanno un'importanza decisiva, che l'artista assomiglia di più allo scienziato. Dopo però l'artista non si affanna per scoprire la legge naturale .... tutto il suo ingegno è volto a trasferire istantaneamente negli altri immagini ed emozioni.
I simboli dell'arte, della musica e del linguaggio trasportano una potenza che va ben oltre i loro significati esteriori e letterali: ognuno di loro condensa anche grandi quantità d'informazione. Proprio come le equazioni matematiche consentono di muoversi velocemente attraverso vaste estensioni del sapere facendo un balzo nell'ignoto, i simboli artistici conferiscono all'esperienza umana delle forme nuove e mirano a evocare negli altri una percezione più intensa. Gli esseri umani vivono di simboli. (...)
Cosa succede nella mente di scienziati e artisti, durante i primi stadi di un pensiero originale? "Un ampliamento disciplinato, fino a raggiungere i recessi segreti in cui i concetti e le connessioni sono ancora inesistenti, o allo stato embrionale". La magia di una scoperta, e poi la scienza va alla ricerca delle regole astratte, mentre l'arte dà voce a modulazioni e intensità personali.
Istinto di sopravvivenza e cultura nella scelta dell'habitat
Così come Juhani Pallasmaa sostiene l'importanza e l'attualità della vista periferica, un retaggio della vita dei nostri antenati che dovevano difendersi dagli attacchi di altri animali e cacciare le prede, anche Wilson sostiene che il nostro cervello abbia conservato alcune vecchie capacità che ci permettevano di sopravvivere in ambienti ostili; per questo gli animali (e in genere gli organismi viventi) costituiscono la materia prima di metafore e rituali che cristallizzano e tramandano informazioni importanti per la sopravvivenza.
Anche noi siamo vigili e all'erta nelle foreste scomparse del mondo
Anche per la selezione dell'habitat in cui vivere l'uomo risponde a regole ancestrali: se è vero che gli esseri umani riescono a vivere in condizioni molto diverse e anche estreme, è altrettanto vero che - appena possono - intervengono sull'ambiente non solo per renderlo fisicamente vivibile, ma anche per migliorarne l'aspetto, "con accanimento pari a quello dell'acchiappamosche".
La gente fa di tutto per vivere in uno spazio aperto, ma non in un paesaggio deserto, circondati da una vegetazione che presenti una certa dose di ordine, ma non una perfezione geometrica.
Secondo Gordon Orions sono tre le caratteristiche fondamenti di cui l'uomo va in cerca:
1. tappeti erbosi tipo savana, che permettono una vasta visuale, con qualche gruppo di alberi per trovare ombra e riposare
2. qualche rilievo topografico, sia cresta o collina, per un controllo del territorio ancora maggiore
3. corsi d'acqua, per rifornirsi di cibo e approfittare di confini naturali
Oggi le necessità di sopravvivenza si sono trasformate in preferenze estetiche, ma le preferenze rimangono le stesse.
Capire meglio noi stessi per conservare la vita sulla Terra
Gli esseri umani preferiscono quelle entità che sono complesse, capaci di crescita e abbastanza imprevedibili da essere interessanti... sono inclini a trattare i loro più terribili marchingegni come cose vive.
Preferiamo vivere a contatto con altri organismi viventi, ma non riusciamo proprio a capire che la nostra stessa esistenza dipende dalla conservazione del pianeta, quasi avessimo tendenze autodistruttive profondamente radicate in noi.
Vogliamo salute, sicurezza, libertà piacere, per noi e per le nostre famiglie. Vogliamo queste cose anche per le generazioni lontane, ma non a costo di un grande sforzo personale.(...)
Il tempo ecologico ed evolutivo, che abbraccia secoli e millenni, può essere concepito intellettualmente, ma non ha un impatto emotivo immediato.
Non siamo esseri altruisti, ma egoisticamente ci preme che i nostri discendenti possano continuare a vivere, e dovremmo capire che il rischio maggiore viene (dopo una guerra nucleare) dalla perdita della diversità genetica.
Se Wilson quasi 40 anni fa prevedeva un tasso di estinzione di 10.000 specie all'anno, i dati attuali sono quasi il doppio:
Si stima che ogni giorno scompaiano circa 50 specie viventi. L’estinzione è un fatto naturale, che si è sempre verificato nella storia della Terra. Mediamente, una specie vive un milione di anni. Il problema è che attualmente la biodiversità si riduce a un ritmo da 100 a 1000 volte più elevato rispetto al ritmo ‘naturale’. Questo fa ritenere che siamo di fronte a un’estinzione delle specie superiore a quella che la Terra ha vissuto negli ultimi 65 milioni di anni, persino superiore a quella che ha segnato la fine dei dinosauri.
Fonte: ISPRA
Wilson ripone la sua fiducia nell'etica della conservazione, anche in questo caso senza false ipocrisie, guardando in faccia la realtà ("una buona dose di realismo biologico", la chiama):
Scegliere cosa è meglio per il futuro prossimo è facile. Anche scegliere per un futuro lontano è facile. Ma scegliere cosa è meglio tanto per il futuro prossimo quanto per il futuro lontano è compito arduo, spesso irto di contraddizioni interne, che richiede codici etici ancora tutti da formulare.
La continuità filogenetica tra l'umanità e il resto del vivente sembrerebbe da sola una ragione sufficiente per tollerare la permanenza delle scimmie antropomorfe e degli altri organismi.
Ma gli umani non funzionano così, sono i vantaggi materiali per sé e la propria tribù a venire facilmente compresi.... e allora andrà spiegato che la biodiversità è il più grande tesoro che abbiamo, in termini di ricadute su alimentazione e salute: un potenziale economico che conosciamo e utilizziamo solo in minima parte e che per questo va conservato e studiato.
Questo l'argomento più forte di un'etica di superficie, a cui Wilson affianca un'etica della conservazione profonda, le cui radici vanno cercate studiando meglio "i nostri impulsi e predisposizioni":
La verità è che non abbiamo mai conquistato il mondo, che mai lo abbiamo compreso: crediamo soltanto di averne il controllo. Non sappiamo nemmeno perché rispondiamo in un dato modo agli altri organismi, perché ne abbiamo un così profondo bisogno sotto tanti diversi aspetti. I miti dominanti che riguardano l'attività predatoria che esercitiamo gli uni sugli altri e tutti sull'ambiente sono obsoleti, poco credibili, distruttivi. Più capiremo il valore della mente come organo di sopravvivenza, più impareremo a rispettare la vita per ragioni puramente razionali.
Io di Edward Wilson mi sono innamorata: 40 anni fa si poneva questioni oggi imprescindibili, suggerendo interessanti connessioni tra biologia, neuroscienze ed etica, con schiettezza e onestà intellettuale.
Per approfondire:
G. Barbiero: "Introduzione alla biofilia. La relazione con la natura tra genetica e psicologia"
S.R. Kellert: "Biophilic Design: The Theory, Science, and Practice of Bringing Buildings to Life"
E.O. Wilson, S.R. Kellert: The Biophilia hipothesis
* In realtà il termine, che unisce le due parole greche: “vita” (bio) and “amore” (philia) è stato utilizzato per la prima volta nel 1964 da Eric Fromm, opponendo biofilia e necrofilia (attrazione per ciò che vive e cresce e attrazione per la morte e la distruzione). Le condizioni ambientali per sviluppare la biofilia sono sicurezza (fisica e mentale), giustizia e libertà. Grazie Giuseppe Barbiero!