Abitare collaborativo (intro)
"E' come quando vai nella foresta e ti senti meglio. Noi qui abbiamo la stessa sensazione, un benessere che non sappiamo spiegare, dobbiamo viverlo".
Matthieu Lietaert in risposta alla domanda: "Un bilancio di questi anni di coabitazione?"
Housing Lab e Homers hanno presentato a Milano pochi giorni fa la Mappa aggiornata del co-housing in Italia, formula con cui si definisce una scelta abitativa e di vita: la propria abitazione è parte un contesto più ampio (una comunità intenzionale), all'interno del quale gli spazi e i servizi comuni (sia esterni che al coperto) vengono co-progettati, condivi e cogestiti.
Se nel nord Europa (Danimarca e Svezia) l'1-2% della popolazione oggi abita in co-housing, in Italia siamo allo 0,0003%: nel 2022 possiamo contare su meno di 30 realtà.
Il co-housing non è un fenomeno nuovo, eppure il tema è tornato in evidenza: la pandemia è stata occasione di riflessioni critiche sul nostro modo di vivere ed è risultato evidente che chi ha potuto contare su una comunità, ha goduto di notevoli vantaggi in termini di qualità della vita.
"How will we live together" era il tema della Biennale di Architettura di Venezia del 2021 e una delle sue declinazioni guardava ai vantaggi dell'abitare collaborativo, per la società e per l'ambiente.
Accanto al co-housing si parla di co-living e social housing:iniziative che hanno qualcosa in comune (il desiderio di socialità), ma anche premesse, caratteristiche, processi e obiettivi differenti.
Co-housing: nasce su iniziativa di un gruppo di persone, prevede la proprietà della casa ed è costruito secondo i desideri dei futuri abitanti che si spendono in prima prima persona per la realizzazione del progetto e di norma condividono in partenza certi valori e obiettivi della vita collaborativa, autogestendosi. Ognuno ha la propria abitazione ma condivide spazi e servizi, come lavanderia, spazi per il co-working, giardini, orti, laboratorio, alloggi da affittare secondo il bisogno. Spesso nel nord Europa c'è una cucina con sala da pranzo "comunitaria" e si mangia assieme una o più volte a settimana.
Co-living: si propone di fornire una soluzione alla mancanza di alloggio nelle città più attrattive e una risposta a bisogni diversi rispetto al passato, come la condivisione di esperienze e il nomadismo digitale piuttosto che il desiderio di privacy e stabilità; spesso dietro a un co-living c'è un (giovane) imprenditore, ma alcune sono esperienze bottom-up: si offrono affitti, spesso di camere, con la maggior parte degli spazi in condivisione e si richiede l'adesione a un set di regole di convivenza da parte di tutti gli inquilini.
Social Housing: si passa qua a uno strumento progettuale che cerca di dare una risposta strutturale alla crescente domanda di alloggi a canoni convenzionati, riservati a chi non riesce ad accedere al libero mercato. Grazie anche al contributo di fondi pubblici e di fondazioni, si realizzano alloggi di qualità, che vengono offerti sia in affitto che in vendita a prezzi accessibili.
L'housing sociale si propone però obiettivi ben più importanti, cercando di instillare dinamiche di convivenza e collaborazione tra gli abitanti, che nel tempo dovranno imparare a gestire anche tutti gli spazi e i servizi comuni: quest'aspetto ha generato negli ultimi anni occasioni di sperimentazione attorno alla costruzione (e al mantenimento) di una comunità, con la nascita della figura del "gestore sociale".
All'interno di queste tre macro-aree, possono essere collocati altri termini, come le residenze universitarie e il Senior co-living, sotto il cappello dell'Edilizia Residenziale Sociale. More to come!
Per approfondire: housinglab.it, Cohousing in Italia ed Europa (2017), co-liv.org, Fondazione Housing Sociale